AVIS Comunale Cremona

8 DI MICHELA MURGIA (ED. EINAUDI) derazione. Tra le due nasce un sentimento di sincero affetto e un rapporto di fiducia che consente loro di considerarsi veramente madre, l’una, e figlia, l’altra. Nonostante la tranquillità della sua quotidianità, tuttavia, Maria si accorge nel tempo di una strana abitudine della madre adottiva: in certe occasioni, infatti, Bonaria viene convocata nel cuore della notte e si trattiene fuori casa per lungo tempo, facendo ritorno a casa solo dopo molte ore. La vecchia sarta, impeccabilmente vestita, dai modi garbati e rispettata da tutto il paese, è, infatti, l’accabadora di Soreni, ovvero “l’ultima madre” amorevole che mette fine alle sofferenze dei moribondi, terminandone fattivamente la vita terrena. Bonaria è la custode di un’antichissima e radicata usanza, frutto di una tradizione culturale arcaica legata alla convinzione che sortilegi e fatture siano in qualche modo reali e che convivano e si integrino con le credenze più tradizionalmente cattoliche. Il segreto di Bonaria, che rimanda il più a lungo possibile di confessare la natura del suo ruolo nella comunità alla figlia adottiva, viene infine svelato quando Andrìa, amico di Maria, la sorprende uscire dalla camera del fratello Nicola, giovane vigoroso ridotto alla depressione e costretto a letto a seguito dell’amputazione di una gamba, dopo averlo aiutato a morire. Maria, incapace di accettare il ruolo e l’attività della madre adottiva, a seguito di un duro confronto con quest’ultima, in cui si dichiara incapace di poter concepire anche solo l’idea di compiere un gesto tanto estremo - seppur per carità nei confronti di un moribondo - fugge a Torino, dove lavora per due anni come istitutrice, salvo poi tornare in Sardegna dopo aver appreso che Bonaria è gravemente malata. Inizia così l’ultima fase del loro rapporto: i ruoli si sono invertiti, Maria si prende cura di Bonaria, ormai allettata e totalmente in balìa della malattia. Maria la assiste impotente, certa del fatto che non esista cura e affranta all’idea di assistere al lungo e doloroso declino della madre adottiva. Le risuonano in testa le sue ultime parole prima della fuga in Piemonte: “Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo”. Un’idea prima per lei inconcepibile, ora diventa possibile, addirittura sensata. Nell’ultimo, estremo atto di misericordia, Maria, infatti, mette fine alle sofferenze di Bonaria, raccogliendo di fatto il testimone lasciatole dall’anziana madre. Accabadora, celeberrima opera di Michela Murgia, ci porta con forza in una dimensione “altra” e ci introduce senza manierismi nei meandri della tradizione rurale della sua amata Sardegna. La società e la comunità di questi paesi, in cui il tempo sembra essersi fermato, hanno un carattere arcaico dirompente e i loro tratti più sconcertanti - fortemente radicati nel territorio - si manifestano tanto nella vita quanto nella morte. L’ordito mistico delle credenze popolari si interseca con la trama della spiritualità e della religione, creando un micro cosmo chiuso, un universo in cui è difficile entrare, ma, ancora di più, da cui è difficile uscire. La terra e la tradizione rimangono dentro le persone, per quanto lontano tentino di fuggire, e ne forgiano i legami. Lo spaccato di questo territorio, la visione micro che diventa macro, costituiscono la vera peculiarità della narrazione e rendono meravigliosamente ardua la lettura di queste poche, densissime pagine, affidandoci un pezzetto di storia e sfidando la nostra capacità di compassione e di comprensione verso le persone - conosciute o sconosciute - che fanno parte della famiglia e della comunità. ... LE COLPE, COME LE PERSONE, INIZIANO AD ESISTERE QUANDO QUALCUNO SE NE ACCORGE ... OCCHIO AL LIBRO “ACCABADORA” a cura di Lucia Catelli Soreni, anni ’50. Maria Listru, ultima nata di quattro sorelle rimaste orfane di padre, viene adottata come “filla de anima” dalla sarta del paese, Tzia Bonaria Urrai, non sposata, senza figli e sufficientemente abbiente per poter garantire alla bambina una casa sicura e un’istruzione che non potrebbe aspettarsi presso la casa natale. L’usanza dei “filli de anima”, radicata nella realtà locale e parte della tradizione, permette ai bambini di “essere generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra”. È proprio questo che accade a Maria: la madre biologica la cede senza troppi ripensamenti, sollevata all’ idea di avere una bocca in meno da sfamare e da maritare in futuro; Tzia Bonaria Urrai, di contro, acquisisce una figlia e diventa una madre a tutti gli effetti. Dopo un iniziale timore, dovuto all’austerità della casa di Bonaria e dai molti gingilli religiosi che la signora colleziona e che la spaventano nelle prime due lunghissime notti nella nuova casa, Maria scopre una vera e propria figura materna, capace di dolcezza, comprensione e consi-

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