AVIS Comunale Cremona

6 DI MAURIZIO DE GIOVANNI (ED. fANDANGO LIBRI) Napoli, 1931. Nel camerino del prestigioso teatro San Carlo, viene rinvenuto il cada- vere del celeberrimo tenore Arnaldo Vezzi. Il cadavere è immerso in una pozza di sangue, con una scheggia di vetro conficcata nel collo. Il corpo è riverso sul tavolo, di fronte allo specchio da trucco in mille pezzi, specchio dal quale sembra provenire proprio la scheggia fatale. Lo sgomento generale è enorme: Vezzi era un famosissimo artista dalla voce angelica, conosciuto e celebrato in tutti i teatri del mondo nonché molto vicino al Duce e alla crème delle gerarchie politiche fasciste. La fama che lo precedeva a livello umano e personale, tuttavia, non era certamente delle migliori: un carattere terribile, un egocentrismo e una vanità senza paragoni, il capriccio di potersi permettere di corteggiare e sedurre qualsiasi donna, impegnata o libera che fosse, l’ostinazione nell’averla a qualsiasi costo. Il caso è molto delicato: un omicidio in uno dei teatri più eleganti d’Italia, le amicizie importanti della vittima, gli occhi della stampa nazionale ad- dosso e le pressioni dal regime affinché si faccia chiarezza sulla scomparsa di uno degli esponenti di spicco della cultura italiana. Sono tutte circo- stanze che fanno sì che il caso venga affidato al migliore tra i funzionari della polizia di Napoli: il commissario Luigi Alfredo Ricciardi. Il commissario Ricciardi, personaggio schivo e ri- servato, si è costruito la fama di risolutore di casi impossibili. Rampollo di una famiglia nobile, dall’animo tor- mentato, vive solo, non ha amici, non ha legami, non ha famiglia, non esce la sera, non frequenta la società, lavora dalla mattina alla sera. Le uniche persone che godono della sua fiducia sono la sua vecchia tata, che si prende cura di lui sin da piccolo, e il brigadiere Raffaele Maione, suo fedele braccio destro nelle indagini. L’unica valvola di sfogo del commissario è affac- ciarsi alla finestra della camera da letto per osser- vare la tranquilla routine della famiglia che abita nella casa accanto alla sua e, in particolare, la loro figlia maggiore, Enrica, specie mentre è dedita alle faccende di casa o mentre ricama, proprio sotto la finestra. Si tratta di un appuntamento serale irri- nunciabile per entrambi e che si sostanzia in un dialogo senza parole tra i due. Il successo di Ricciardi nel condurre e portare a termine indagini complessissime deriva dalla sua caratteristica più peculiare, che è anche la causa del suo tormento interiore: il commissario vede le persone morte e ne sente ripetere ossessivamente l’ultima frase detta prima di morire. Sono i morti, in un certo senso, a guidarlo e a in- dirizzarlo verso la giusta strada nelle indagini, tal- volta risolte “a posteriori”. È stato proprio il suo “potere” a fargli capire la dinamica della morte del giovane figlio di Maione, Luca, poliziotto come il padre e ucciso in servizio, morto con il nome dei genitori sulle labbra. Indizio dopo indizio, scoperta dopo scoperta, il commissario cerca di gettare luce sul caso, guidato dalla sua sete di verità. Tormentato dal fantasma di Vezzi, che continua a ripetere alcuni versi dell’Opera Pagliacci, in scena proprio la sera del suo omicidio, il commissario deve fare i conti con una vittima per cui nessuno parteggia, la cui morte non dispiace e che, anzi, da alcuni viene vissuta come una “liberazione”, prima tra tutti la sua stessa vedova, Livia. Sullo sfondo, a fare da cornice, una Napoli tor- mentata, fatta di bellezza, di arte e di cultura, ma anche di degrado, sia urbano che morale, di disa- gio e situazioni difficili, di scugnizzi, di femminielli, case del popolo, ville prestigiose e splendidi ed eleganti teatri, luoghi di finzione, ma soprattutto di verità. IL SANGUE VOGLIO ... ALL’IRA MI ABBANDONO ... IN ODIO TUTTO L’AMOR MIO fINì OCCHIO AL LIBRO “IL SENSO DEL DOLORE ” a cura di lucia Catelli

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