AVIS Comunale Cremona
9 DI MARIO CALABRESI (ED. MONDADORI ) * direttore de “il dono del Sangue” “Siamo sottili come carta. Viviamo sul filo delle percentuali, tamporanea- mente. e questo è il bello e il brutto, il fattore tempo. e non ci si può fare niente ” (frase di Charles Bukowski, citato nel libro), di Mario Calabresi, il figlio del commissario Luigi Calabresi, ucciso il 7maggio 1972, quando il figlio aveva appena due anni e mezzo. Queste pagine, al pari di altre di questa stagione storica, sono un inno alla vita che non muore mai e che ha sempre una ripresa, il che significa una speranza capace di rinascere in ogni momento improvviso, quando la vita sembrava un declino definitivo. I due capitoli decisivi per comprendere l'animo del volume sono il primo “Il sogno”, quando Mario Calabresi si accorge di non essere più direttore di “Repubblica”, con un addio improvviso, e l'ultimo, dell'incontro con l'uccisore del padre, Giorgio Pietrostefani, in un'atmosfera tesa ma umanamente ricca di valori. Il volume è, significativamente, dedicato a quanti – madri, padri, mogli, mariti, fidan- zati, fratelli, sorelle, figli e amici – si prendono cura di chi combatte per tornare alla vita. “Ne ho incontrati tanti e la loro dedizione è commovente”. Tra le righe del “Sogno”, trovo l'amarezza di una decisione e la volontà di continuare, in una dimensione esistenziale che appartiene a noi tutti: “Continuo a fare lo stesso sogno, ogni notte. Arrivo alla riunione del mattino al giornale, sono tuti già attorno al tavolo, mi siedo e ini- ziò a proporre idee per la giornata, segnalo un titolo che non funziona sul sito e chiedo spiegazioni sul per- ché non sia stato fatto un pezzo. Nessuno risponde, tutti stanno in silenzio, finché qualcunomi fa un cenno e scuote la testa. Solo allora mi rendo conto che con la riunione io non c'entro più nulla emi alzo. A quel punto mi sveglio e mi arrabbio con il mio inconscio che con- tinua a tornare là. Non esiste una vaccinazione per la mancanza delle abitudini, esiste solo il tempo neces- sario per farsene una ragione. I primi giorni sono come una corrente a cui non si riesce a sfuggire: non fai che pensare a quello che hai perso...Le cose peg- giori sono il silenzio e la fine di un tempo scandito da riti e abitudini” . Così alle persone incontrate si trova difficoltà a rispondere a domande come queste: “Che cosa è successo? Ma adesso cosa farai?”. Così. “evito i luoghi affollati, soprat- tutto evito i luoghi dove si trovano i giornalisti. Non ho voglia di rispondere...Il miglior favore che ci si può fare in un mo- mento di crisi è di non fingere che le cose vadano benissimo e che un milione di progetti ti aspettano. Ho sempre trovata patetica questa cosa. Così dico semplicemente che sto scri- vendo un libro”. L'ultimo incontro raccontato nel libro – si diceva – è quello con Giorgio Pietrostefani; di cosa si siano detti a Parigi, dove è la- titante da ormai più di vent'anni, non si fa assolutamente menzione; l'Autore si limita a raccontare la tensione notata nello sguardo del suo eccezionale interlocutore e ricorda una mezz'ora di colloquio, in un anonimo hotel popolato da turisti americani. Quel che rimane al lettore è, ancora una volta, la lezione che arriva “dopo” e che, in sintesi, era iscritta “da prima”, nel dna di famiglia: il pudore nel rendere pubblico un dolore privato, il bisogno di un percorso da compiere per giun- gere alla verità e poi per essere capaci di perdono, la neces- sità di una riconciliazione storica che abbia come motore, prima di tutto, lo Stato. “La vita è fatta di cose belle e di do- lori, e di dolori ne abbiamo avuti tanti – dirà la mamma di Mario, signora Gemma...Ma se ci fossimo fermati lì sarebbe davvero finita”. Sullo sfondo appunto questa “mamma”, con il suo dolore e il suo “processo privato, con cui ha sempre cer- cato di contaminare me e i miei fratelli”. E la conclusione ti porta a riflettere: “Questi percorsi sono fatti di passi avanti e marce indietro, ma sono fondamentali per trovare una pace interiore”. E, pure in questo frangente, Mario Calabresi scegli di andare ad incontrare l'uomo che aveva ucciso il padre, “quell'uomo che non aveva più dei suoi 20 anni”, dietro lamo- tivazione interiore “Dovevo farlo”, e così “Adesso, il mio giorno dopo era finito davvero”. Il messaggio di fondo di un libro ec- cezionale, “non fermarsi” dunque, andare avanti, chiedendosi non tano il “perché” qualcosa succede ame, ma “come” possa trovare la forza ...Ed ecco altri contenuti di queste pagine scritte: il giovane medico del Cuamm, sopravvissuto a un di- sastro aereo, la ragazza del canottaggio, vittima di un inci- dente...Vicende straordinarie, illuminate dalla luce della speranza, che è pure virtù cristiana: Fiducia, nonostante tutto, nel prossimo e nella Provvidenza. Capacità di resistere a nu- merosi, a tanti sconvolgimenti personali, nessuna paura, e nessuna sindrome da fallimento. Sul piano laico, Calabresi sembra parlare al mondo della comunicazione che gli appar- tiene. Con una confessione che gli fa onore: “Ame piace sem- pre meno il giornalismo del tempo reale e sempre più quello del giorno dopo, mi affascina provare a capire come sono an- date a finire le cose, quando le luci della ribalta – che durano una sera - si sono spente e il circo dei mille microfoni è già da un'altra parte”. A quel traguardo la vita può cominciare... ... NESSUNO RISPONDE, TUTTI STANNO IN SILENZIO ... OCCHIO AL LIBRO “LA MATTINA DOPO” a cura del prof. Angelo rescaglio*
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